Incontro con James Hillman
a cura di Maria Nadotti
James Hillman, nato ad Atlantic City nel 1926, è da tempo considerato uno dei pensatori più originali e stimolanti del panorama culturale nordamericano; Formatosi come analista junghiano, dopo avere diretto per anni lo Jung Institut di Zurigo, ha lasciato l’Europa ed è rientrato negli Stati Uniti, a Dallas/Texas, dove ha fondato il Dallas Institute of Humanities and Culture. “Dallas”, ha risposto a chi gli chiedeva le ragioni della sua apparentemente strana scelta, “va immaginata come Vienna un centinaio d’anni fa. Se nella Vienna fin de siècle nevrosi, isteria, fantasie sessuali e repressione familiare erano presenti dappertutto, Dallas è oggi il luogo ideale per immergersi nella sindrome dei nostri tempi, che io chiamo psicopatia o concretismo psicotico”.
Scrittore prolifico di saggi dalla densa tenuta teorica e dal linguaggio poetico, suggestivo, pieno di rimandi alla letteratura, all’arte, alle scienze umane in genere, dal 1970 Hillman dirige la rivista Spring, che accoglie i maggiori contributi teorici alla psicologia archetipica, uno sviluppo fecondo della psicoterapia di derivazione junghiana.
In Italia per partecipare a una tavola rotonda sul tema “Repressione della bellezza” organizzata dal Museo Pecci di Prato e per mettere a punto la prossima uscita italiana di due suoi testi (nella collana minima di Raffaello Cortina uscirà in aprile Gli animali del sogno, una deliziosa piccola antologia di scritti dedicati al rapporto tra “il Grande Sterminatore” uomo e gli animali, nei sogni, nel mito, nell’immaginazione e nella realtà psicologica; mentre da Adelphi è in uscita La vana fuga dagli dei, un saggio doppio sul concetto di normalità psichica e patologia), Hillman ha, con l’acutezza e la modestia consuete, accettato di rispondere a una serie di domande di difficile attualità.
Ti dispiacerebbe provare a leggere lo scenario di guerra in cui ci troviamo immersi alla luce delle tue categorie analitiche ?
La nuova situazione politica è segnata dal potere del dio Marte. Una volta che si è data via libera a questo dio, è quasi impossibile trovare un modo per fermarlo. I fatti del giorno confermano la forza di questo archetipo e ci spiegano perché in dicembre si sia tentato il tutto per tutto per trattenerlo per evitare la terribile tensione che lo accompagna.
Tradizionalmente Marte non era ammesso all’interno delle città, lo si considerava troppo pericoloso. A Roma lo porteranno le truppe di Cesare, ma il Campo di Marte rimarrà comunque ai margini dell’urbe. Uno dei problemi è che con questo dio non abbiamo il collegamento giusto, non lo conosciamo. I generali invece lo capiscono bene. Sanno quale sia il suo potere e come sappia cambiare le cose. E come innamorarsi. In inglese diciamo to fall in love, cadere nell’amore. Con Marte e esattamente la stessa cosa. Si cade nella guerra. Si muore, si rischia, si è ossessionati. È una possessione archetipa. Ecco perché la costituzione americana ha stabilito che i militari siano sotto il controllo del civili, per paura di un archetipo. E se il dio della guerra viene collegato a una giustificazione di tipo religioso, allora siamo davvero in pericolo, perché Marte si trasforma in Cristo o in Allah.
Non dimentichiamoci che questa guerra non è iniziata solo con l’occupazione del Kuwait da parte di Saddam, ma anche con la visita della signora Thatcher a George Bush in Colorado, quella stessa mattina. La Thatcher ha eccitato Bush con i valori del protestantesimo occidentale, gli ha parlato di Hitler, di giusto e di sbagliato. Tutte virtù protestanti, impermeabili a ogni contrattazione. Quello che
sarebbe importante capire è come mai non abbiamo avuto abbastanza immaginazione per trovare dei modi alternativi alla guerra. Bisognava farlo allora, quando si era ancora in tempo, quando Marte non era ancora sceso in campo ed era Atena, dea del negoziato, della strategia, dell’immaginazione, della ricerca di soluzioni politiche, a dominare la scena.
Come tornare indietro, quando Marte si è scatenato, o come fermarlo?
La storia insegna che di solito si va fino in fondo. Nel rinascimento sì, erano. capaci di fermare“ il dio della guerra. Si faceva qualche morto da entrambe le parti e poi ogni città faceva marcia indietro. La guerra era stilizzata, non letterale. C’era una grande consapevolezza sul piano dello stile. Lo stesso discorso vale per alcune società tribali: la guerra era sostituita da una battaglia tra singoli individui, campioni, stilizzata appunto. Credo che la nostra cultura non capisca a sufficienza il concetto di stilizzazione, che significa danza, rituali, liturgia. Ed è compito degli anziani trasmetterlo ai giovani. È quello che cerco di fare in America da cinque anni, lavorando con gruppi di soli uomini. Ci raduniamo a scadenze regolari e certe volte siamo anche in novecento. Da noi il problema sono gli uomini, non le donne. Le donne sanno pensare e affrontare le questioni, basta pensare al femminismo. Con gli uomini una delle questioni è come far affiorare la violenza che è latente nella psiche maschile (e di cui le donne sono perfettamente a conoscenza) e darle una forma diversa. Lavoriamo con la danza, l’arte, la ritualità, la ritualizzazione del conflitto, perché gli uomini possano aggredirsi, gridare gli uni contro gli altri senza che nessuno ne esca ferito. E' importante.
Credi che una pratica di questo tipo avrebbe qualche possibilità di successo anche da noi?
Non lo so, è molto americana. Prevede entusiasmo, voglia di cambiare. Gli europei sono molto ironici e deprimenti. L’ironia è deprimente. Il gioco è facile: a forza di ironia gli europei hanno assunto la posizione dell’adolescente. Papà lavora e l’adolescente lo sta a guardare con un sorriso di sufficienza. Psicologicamente è una posizione debilitante, regressiva.
A partire dalla cultura classica e umanistica, tu hai individuato l’esistenza di due atteggiamenti psicologici, uguali e contrari, complementari: da una parte il puer, vulnerabile, incapace di entrare nel tempo, amorale e autodistruttivo e dall’altra il senex; il tempo, il lavoro, la responsabilità, l’ordine, la continuità. Chi sono oggi, pensando alla guerra del Golfo, il puer e il senex? Saddam è una figura di puer?
No, non direi, perché non ne ha le qualità, non ne ha lo spirito. Il puer ha una sua visione e porta nuove verità nel mondo. Non sono sicuro che questo stia accadendo con Saddam. Neanche Bush, ovviamente, ha la figura del puer.
Si tratta dunque di una guerra tra vecchi?
Non ci avevo pensato in questi termini. Lasciamici pensare. Non bisogna dimenticare che la guerra ha una grande forza di attrazione. La guerra è attrazione. Gli uomini vanno in guerra e muoiono a migliaia. Eppure c’è una specie di estasi: ne danno conto gli uomini di tutto il mondo. Una battaglia fa paura, una paura tremenda, ma dietro c’è qualcos’altro. Tra gli uomini in guerra si svolge qualcosa che chiamerei amore. È difficile capirlo standocene qui seduti a parlarne, ma io credo che ogni dio abbia il potere di impossessarsi di noi, anche Marte, il più pericoloso.
La guerra è un problema, un desiderio, una proiezione maschile oppure riguarda il genere umano, donne comprese?
Non la si può ridurre soltanto agli uomini. È vero che la guerra esercita il suo fascino su di loro, ma sono secoli che le donne mandano i loro figli a morire in battaglia.
Ne siamo proprio sicuri?
Credo di sì. In questi giorni sugli schermi televisivi americani ho visto madri che dichiaravano di essere contente di avere tre figli al fronte. Le donne diventano la mater dolorosa, colei che si qualifica attraverso il lutto, la perdita del figlio. La morte di un figlio è una delle esperienze più dolorose, ma è anche un archetipo. Si vive di esperienze eccezionali. Non le vogliamo, le temiamo, sfuggono al nostro controllo, eppure sono proprio loro che ci fanno vivere.
Dunque non c’è modo di sfuggire alla ripetizione? L'archetipo, dando senso e direzione all’esistenza, si trasforma in una trappola da cui sembra impossibile liberarsi.
Sì, una trappola terribile. È per questo che penso che abbiamo bisogno dell’immaginazione visiva e dell’arte, per mettere qualcosa tra noi e gli dei. Le arti sono una protezione, perché comportano ritualizzazione, drammatizzazione, danza, colore, che ci dipingiamo il corpo, che camminiamo, urliamo, che usiamo la retorica, parate, musica, sport. Speravo che la televisione, che è una specie di immaginazione della guerra, si sarebbe messa tra noi e la guerra vera e propria.'Ma non è andata cosi, perché 1a TV adesso è controllata e si limita a farci vedere aeroplani e fuochi. E invece è importante vedere le cose, sapere per esempio che in Iraq il 45% della popolazione ha meno di quattordici anni e che questa guerra quindi è una guerra contro i bambini. No, non è vero, è una guerra contro Saddam... eppure. Bisogna che ci rendiamo conto che nemmeno gli iracheni sono riusciti a fermare Saddam.
Ma tu credi davvero che un popolo possa fermare i propri leader politici, una volta che gli ha conferito il potere?
Devo crederci. Se non ci credessi, non avrebbe neanche senso parlarne. Credo in quello che ha detto Aristotele: “l’uomo è per natura un animale politico”.
Pur apprezzando l’ottimismo della volontà e la fiducia nella ragione, come si spiega che la gente non riesca mai a bloccare al momento giusto le deviazioni dei propri capi?
Noi abbiamo fermato Nixon. Mendés-France fu fermato ai tempi dell’ Algeria.
Si trattava comunque di sistemi democratici e i paesi non erano propriamente in guerra. Mentre le “eliminazioni” storiche dei tiranni di questo secolo sembrano essere avvenute sempre un po' in ritardo, a cose fatte. Vedi Mussolini, Hitler, ma anche Ceausescu e, in questo caso, eventualmente Saddam.
Vuoi dire che si tratterebbe di assassinii annunciati e in ogni caso tardivi, non di un atto di controllo diretto da parte della gente?
Non so, non ti so rispondere, non ci avevo pensato in questi termini. Quello di cui mi accorgo con precisione è che stanno prevalendo alcune delle qualità negative del tipo senex. Il senex è coinvolto nella paranoia della guerra, nel suo senso di inevitabilità, la greve saturnina inevitabile mancanza di immaginazione. Lo stesso linguaggio che viene usato, che tutto stia andando secondo i piani, il pesante razionalismo contenuto in un’affermazione di questo tipo. Voglio dire che ci sono violenza, incendi, sangue, spese incredibili e tutto viene presentato come se si trattasse di un business ragionevole e di normale amministrazione. C’ è una totale mancanza di humor.
La seconda guerra mondiale ne era piena, pensa a un personaggio come Churchill. Adesso siamo in balia di una serietà mortale, opprimente come un sermone protestante. È il linguaggio dei tecnocrati e dei burocrati. Il cuore ti si spezza solo quando vedi l’immagine dell’uccello coperto di petrolio. Di tutta la guerra, questa è l’unica immagine che finora abbia avuto un impatto emotivo su di noi. È curioso, non trovi? Come se fosse un suggerimento a cambiare punto di vista e a osservare la follia della guerra dalla prospettiva dell’uccello.
Ma paradossalmente la guerra sta solo dimostrando qualcosa che già da prima non funzionava. Non c’era certo bisogno di Saddam Hussein per scoprire che gli uomini stanno distruggendo il pianeta.
Però la guerra lo ha reso trasparente. lo penso che oggi si debba trovare una soluzione rapida al conflitto. La guerra è in corso, partiamo da questa innegabile premessa, ma come deve essere condotta? Nel solo modo possibile, con attenzione e sensibilità. Ma siamo nel regno di Marte e il dio della guerra non si lascia limitare né tenere sotto controllo in termini apollinei. Il problema è che Atena è latitante e che manchiamo di una strategia. C’è chi dice che Saddam è uno psicopatico; non è la mia posizione, ma proviamo a seguire questa logica. Cosa si fa con uno psicopatico? A lui non importa che muoiano migliaia di persone né che il mondo vada in fiamme. L’ unica cosa che gli sta a cuore è una sorta di glorificazione personale. Che fare? Bisogna trovare qualcosa che gli vada bene. È quello che stanno tentando iraniani e russi. Trovare qualcosa da offrirgli e che gli sembri accettabile, dargli una via d’uscita.
Per gli americani è molto difficile entrare in questa logica, non sono i nostri termini. Da sempre noi ragioniamo sulla base della RESA INCONDIZIONATA, non offriamo vie di scampo, scappatoie, soluzioni negoziate. Abbiamo il terrore di comprometterci, di inquinarci, di lasciarci infettare dal nemico. È un atteggiamento impossibile, puritano e protestante: con la controparte non si tratta, la si piega. È una follia, come ogni forma di fanatismo. Il risultato di questa mentalità è che le situazioni si irrigidiscono, vanno avanti troppo a lungo e si crea l’olocausto. In questo c’è del masochismo. Si obbliga l’altro ad assumere la posizione del masochista.
Gli Stati Uniti, visto che è nella loro pragmaticissima cultura, avrebbero dovuto porsi di fronte all’invasione irachena del Kuwait come davanti a un fatto compiuto, assumendosene parzialmente la responsabilità e senza trasformare la propria rabbia e il proprio senso di inadeguatezza in aggressività tutta rivolta contro l’esterno. Il nostro problema e che non sappiamo ammettere che si può anche perdere. Vogliamo che tutto torni come prima.
Che effetti avrà questa guerra sul paese?
Avrà un impatto fortissimo sul sistema educativo. Questa guerra sta dimostrando che l’educazione tecnologica e computerizzata funziona. Quello che conta non sono le scienze umane, l’arte, i libri, la cultura. Basta prendere della gente senza istruzione, metterla nell’esercito, fornirle un po’ di tecnologia e vedrete che meraviglia: farà funzionare le macchine come orologi di precisione.
Il secondo effetto, creato soprattutto dall’informazione televisiva, è che stiamo perdendo sempre più contatto con la fisicità delle cose e dei corpi.
Ma la conseguenza più grave della guerra del Golfo è che sta sottoponendo a revisione la nostra storia. Ci sono voluti venti lentissimi anni per farci accettare l’idea che in Vietnam siamo stati sconfitti, che non siamo né superiori né i migliori, che non ci possiamo permettere di ammazzare e assassinare come se niente fosse. La protesta contro la guerra del Vietnam conteneva un punto di vista morale, che l’ ha resa capace di dare vita a un movimento quasi di massa contro i generali. E adesso Bush si può permettere di dire che il Golfo non è il Vietnam, che non sarà un altro Vietnam, che questa volta gli Stati Uniti non combatteranno con una pistola puntata contro la schiena.
Il senso delle parole di Bush è che sono state la stampa e la protesta organizzata a impedirci di vincere quella guerra. L’avremmo vinta se non fosse stato per loro, ma non glielo lasceremo fare un’altra volta. Il che significa che vent’anni fa la guerra era buona e giusta, ma è stata fermata da questa gente. Anche oggi negli Stati Uniti c’è un sacco di gente che protesta contro la guerra, ma Bush l’ ha messa in una posizione falsa, perché retrospettivamente è riuscito a riabilitare il ruolo americano in Vietnam e a dimostrare che chi lo contestava aveva torto. Per la storia e la psicologia del nostro paese è stato di fondamentale importanza ammettere che in Vietnam si era consumata una immensa tragedia, non un conflitto tra il bene e il male. E adesso ci dicono che potevamo vincere. Mi spaventa che la storia possa essere sottoposta a revisioni, perché questo ci permette di dimenticare la tragedia, che invece è un elemento di grandissima importanza per l'anima degli americani.
Tra il Vietnam e il Golfo la società americana e la cultura che ha saputo esprimere hanno subito trasformazioni epocali. Come potrebbe essere proponibile oggi, ad esempio, lo slogan “Fate l’amore, non fate la guerra”? Dopo l ’aids, la ripresa della repressione sessuale, l’oscurantismo trionfante, la nuova ventata censoria, non credi che il popolo americano fosse pronto per un ’avventura di morte?
È vero, l’America è ripiombata nel puritanesimo. Da noi chi non ha compiuto i ventun anni non può guidare né bere alcolici. Eppure al fronte ci hanno mandato proprio i minorenni, perché evidentemente per morire hanno l’età giusta, E pensare che il nostro paese è disperatamente alla ricerca d’amore: l’amore e il tema dominante in terapia, il cinema non parla d’altro. Il sogno collettivo è il romance, una relazione che combini sessualità, erotismo e sentimento. Un contrasto schiacciante con la psicologia fanatica di Bush, che ragiona solo in termini di bene da far trionfare, di male da sradicare e di un NUOVO ORDINE MONDIALE da stabilire, apocalitticamente, con la morte e la distruzione.
Non dimentichiamoci che Marte non è solo il dio della guerra. Egli è anche l’iniziatore, colui che dà il via, il dio delle svolte. E uno dei problemi con cui mi scontro di continuo nel mio paese è una certa tipologia umana: l’Americano passivo, aggressivo, stanco, sovrappeso, senza spirito, prigioniero dei soldi e del lavoro. Marte, che è sicuramente portatore di nuova vitalità, rischia o propone di essere il benvenuto.
da Linea d'ombra
aprile 1991
numero 59